Bardo/Iñárritu/piccola nota a margine
Aggiungo poche righe al già esaustivo articolo di Daniele, vorrei giusto rimarcare alcuni difetti di questo film. “Bardo – la cronaca falsa di alcune verità” é molto personale e ancor di più personalizzato, il regista messicano Iñárritu che ha nell’esibizione formale una delle sue cifre stilistiche più peculiari, esonda in un film fiume disomogeneo e paradossalmente senza forma. Citando un film di un suo similare contemporaneo italico non casuale, si è completamente e volutamente disunito. Come per gli ultimi film di Sorrentino ci sono ventate di passioni e suggestioni, sì abuseremo di questi due scontatissimi termini, che si sfilacciano tra lunghe e insistite sequenze segnate da un grottesco surrealismo. Cos’è questa tendenza sfacciata di impellente esigenza di autobiografismo e di crisi esistenziale dei registi? Perché ci dovrebbero interessare questi solipsismi? Tutti che ri-cercano il proprio 8 1/2, apice di un autore come Fellini che ha basato l’intera carriera a mettere in scena il suo mondo come un circo visionario. È già da prima della pandemia che diversi registi importanti hanno preferito guardarsi dentro rispetto che a osservare il fuori che li circonda, si guarda al proprio centro ombelicale pensando che filmandolo possa divenire universale (o quantomeno degno di nota per chiunque guardi): di fatto delle cronache false di alcune verità. Questo è sintomo di una crisi pericolosa dell’arte che inaridita e svuotata non è più capace di raccontare il mondo, e i bardi e gli scrittori, così come Silverio Gama e Jep Gambardella, si perdono in loro stessi piangendosi addosso, che mesta grande bellezza.

È innegabile che alcuni spezzoni hanno una loro forza espressiva ma un film che ha al suo interno un’indulgente autocritica rivolta al suo stesso essere autocritico e indulgente, confonde e infastidisce per la pretenziosa “falsa”modestia.
Iñárritu segue il cuore incerto senza affondare i colpi perché declama la sua insicurezza, depotenziando i suoi (sinceri) sensi di colpa condivisi con il suo alter/ego protagonista, che non si perdona il successo e vive nel limbo della sindrome dell’impostore, sia da americano che da messicano. Purtroppo sono da segnalare anche dei picchi di cringe: le scene del neonato sono sotto il limite di sopportazione. Dite che è voluto? Ma queste imbarazzanti esposizioni che tono pretestuoso e superfluo danno al film? e viene detto dalla prospettiva di chi non ha disdegnato il redivivo Di Caprio che combatte con l’orso in cgi, ovvero di chi ha mezzo salvato ciò che già era stato considerato intollerabile puro esibizionismo estetico. Bardo inizia con l’ombra di Silverio che fa balzi nel deserto innalzandosi verso il cielo e assumendo il punto di vista di un falco o addirittura di Dio. Boh, sono in dubbio, non lo so, magari anche meno, ma il film è più o meno questa giostra: balzi scomposti e sconsiderati di una testa per aria ma con i piedi inchiodati per terra.
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