Autunno e altri rimedi
Delia era vittima dell’autunno fin da bambina. Era la sua stagione preferita da sempre; strano per una che non crede al -per sempre-.
Aspettava che l’emisfero settentrionale iniziasse a ricevere meno luce, quasi come se fosse un rito. Sapeva che quello era il momento in cui le foglie, sparse sul marciapiedi, iniziavano a scrocchiare.
Avrebbe potuto essere felice, finalmente, e invece tra le sue labbra c’era sempre un forte senso di insoddisfazione. Come quando assaggi il tuo dolce preferito e dopo il primo assaggio pensi “lo ricordavo diverso”. Il dono dell’immaginazione a tratti le sembrava più una condanna. I suoi sogni avevano la capacità di precipitare una volta raggiunto l’impatto con la realtà. Delia era scostante ma con ritmo. Scontrosa ma capace di atti di estrema gentilezza.
Permalosa ma arrendevole. Raccontava a sua madre, tutte le volte che si incontravano, di desiderare una pelle più scivolosa. Una di quelle sulle quali non rimane nulla attaccato addosso. “Impossibile!” rispondeva lei.
Delia in quel modo ci era nata, non era stato il mondo a modificarla. Era lei l’unica
responsabile del cielo grigio perché era lei stessa a dipingerlo. E quando il sole tentava di raggiungerla lei per istinto lo rifuggiva.
Tutto quello di cui aveva bisogno era una banale giornata umida, una di quelle in cui non ti aspetti nulla. Una giornata senza pretese in cui nemmeno le ore che passano si aspettano qualcosa da te. La calma piatta, il vuoto, l’assenza di suoni, il silenzio che sa di dimenticanza.

Delia passava ore a fissarsi i lacci delle scarpe: li attorcigliava tra l’indice e l’anulare e quel momento si trasformava sempre in qualcosa che somigliava all’attesa. Era la cosa che le riusciva meglio attendere. Chi o cosa non aveva importanza, perché è mentre aspettiamo che la vita ci passa davanti. Fotogrammi nitidi ma mai abbastanza per chi, come lei, amava scattare istantanee in bianco e nero.
Delia era sfacciata, in un modo che spesso non riusciva a controllare, ma il tono della sua voce si abbassava di un’ottava difronte alle pagine di un libro che sembravano descriverla. Quelle come Delia sono -donne spugna-: assorbono gli stimoli esterni ma senza la capacità di restituire al mondo il pasto che sono state costrette a consumare. Non era colpa degli altri, lei questo lo sapeva bene.
Conservare dentro sé stessa le sensazioni che non le appartenevano e i dolori che non aveva ancora vissuto era un cadeau che la natura aveva voluto farle. Era il fardello che non le consentiva di amare davvero l’autunno né nessun altro; chi ama resta e resiste ma lei rimaneva sempre incagliata tra un cambio di stagione e l’altro senza sapere esattamente
come sbrogliare quella matassa. E allora scriveva perché quando scrivi nessuno ti parla, nessuno ti vede, nessuno ti sente.
– La Sconosciuta –
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