Crimes of the future – David Cronenberg / Dark side
Per un’impressione positiva vi rimando alla recensione di Daniele Parisi: https://acumedellagrume.com/2022/08/21/crimes-of-the-future-cronenberg/ / mentre se proseguite troverete l’impressione di chi non è rimasto convinto, almeno non del tutto, da Crimes of the future.
L’ultimo film di Cronenberg puzza di morto. In tutti i sensi. Arriva dopo il cortometraggio dove il regista canadese ha inscenato la sua morte, immortalando se stesso (vivo) che osserva e giace con il suo possibile cadavere sdraiato nel letto.
E su questo Cronenberg è coerente e in Crimes of Future affronta la decomposizione del suo concetto di corpo. A sentir ultimamente inneggiare, nuovamente e ripetutamente, alla nuova carne, è già salita l’acquolina per quella che si preannuncia come la più grande grigliata cinefila della storia. Eppure non scordatevi di Greta! Il film però si salva dal lato ecologico immaginando un essere umano che, attraverso tumori e nuovi organi, evolve in modo da poter mangiare e digerire la plastica e quindi i suoi stessi rifiuti. Salvati in corner. Cronenberg ambienta il film in una Grecia malcelata, lavora troppo cervelloticamente tra piani che comunicano poco tra loro, e pare fare una summa di tanti suoi film del passato ma pericolosamente al limite dell’autoparodia. Il noir cammina lento e rimane marginale rispetto all’esplicitazione delle teorie estetiche, è giusto dirlo, ormai ritrite del regista canadese, già assimilate, digerite e rigurgitate.

Rimane di interessante l’idea generale della quasi completa sparizione del dolore per il genere umano e della relativa evoluzione in piacere delle ferite inferte. Un guizzo che libera il corpo dalla pena fisica e proietta la chirurgia come il perfezionamento di questa nuova pratica sui corpi che diviene performing art e nuovo sesso. Ma è lo sviluppo che claudica, si vorranno vedere nei suoi vicoli ciechi una rediviva e ispirata genialità; invece forse è quello che è, inconcludente e senza meta. Come il destino dell’umanità? Risulta schizofrenica la risposta tanto da spingere ad un finale citazionistico (bellissimo riferimento alla Jeanne d’arc di Dreyer) e per di più simbolo di cinema trascendentale; ed è inaspettato soprattutto se a sceglierlo è uno degli esegeti massimi della carnalità.


In questo rapporto inconciliabile tra il corpo(carne) e l’anima(arte), è forse qui la svolta ed il capovolgimento della critica nelle nuove immagini, dei nuovi organi e verso i nuovi esseri umani. Tanta carne al fuoco, scusate la ripetizione, ma con questa scena epifanica il film non svela una resurrezione nel martirio, non ce lo si aspettava neanche del resto, sembra più offrire una sbavatura d’inchiostro nero su di un saggio scritto con la mano sinistra. Ma quale nuova carne! Stiamo osservando le vecchie carcasse in decomposizione di una vetusta macelleria di periferia, la cui vetrina presenta organi deformi dall’ innegabile fascino obliquo: respingente e attrattivo.


Si può godere di questo spettacolo sgradevole e ritenerlo pure arte ma è come guardare (dentro) un morto, un immobile cadavere che non va da nessuna parte.
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