Ačâyâna: il circondante
Il sole finalmente ha smesso di far ribollire l’asfalto, le vie del centro sono meno
affollate e il vento frizzantino è tornato a ricordarmi che tutto passa: anche agosto.
Settembre mi somiglia. Mi è sempre apparso come l’inizio di qualcosa, il punto di
svolta, la rivoluzione e, in definitiva, il nulla. Probabilmente è tutta colpa delle
aspettative e dei pensieri difficili da sbrogliare a giugno, figuriamoci a luglio.
Settembre è nostalgia e inversione, è rientro e allontanamento.
È quel momento in cui l’acqua al mare è ancora tiepida, ma è anche il momento in cui recupero il bollitore per preparare le mie tisane. Settembre, più di ogni cosa, è lucida contraddizione.
È il tempo perso, e ritrovato, di una routine che ritorna puntuale: sette giorni su sette. Per una come me, che del presente non ha mai saputo cosa farsene, settembre è un laccio con il passato e con i profumi che ho imparato ad apprezzare. Dalle mie parti inizia il rituale della vendemmia e l’aria diventa, tutto ad un tratto, acre.

Le narici meno esperte direbbero che è irrespirabile, ma quando impari a convivere con quell’aroma non puoi più farne a meno. Ma il tempo, presente o passato, non è nulla se non riusciamo a metterlo in relazione all’infinito.
Probabilmente non è di -nuovi inizi- che abbiamo bisogno ma di riprendere
confidenza con la -ciclicità- delle giornate che si accorciano e che conservano,
nonostante tutto, uno splendore ombroso e tristemente romantico.
“Entro un determinato periodo di tempo tutto si ricrea come era stato”, diceva
Pitagora. Questo vuol dire che -nulla di ciò che si trova sulla terra è nuovo-. È già
accaduto: le nostre battaglie sono già state combattute. Lasciamo ai giorni il loro compito, quello di scorrere e fluire. Noi concediamoci il più grande dei lussi: esistere come la forza potentissima di un oceano.
Ci sorprenderà scoprire che il nostro impegno contribuisce a tenere unito il mondo.
-LA SCONOSCIUTA.

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