Grounded – Teatro Nazionale Genova
Regia di Davide Livermore, testo di George Brant, traduzione di Monica Capuani, interpretato da Linda Gennari.
Il blu e il grigio sono i colori della guerra per la pilota aeronautica protagonista di questo testo di Brant. I colori dei monitor ad alta definizione, specialmente quelli dei costosissimi droni da combattimento che si trova a “guidare” dopo la gravidanza. Le missioni militari divengono quotidianità lavorativa e, come se in un lavoro d’ufficio, si occupa di bombardamenti che prima viveva in prima linea.

Il “Blu” così viene chiamato il cielo, teatro sinestetico e casa della sua passione aerea, in contrasto con il grigio del cemento e dei pixel digitali della nuova alienante guerra, fatta da lontano e dall’occhio che tutto osserva.
Acceca e destabilizza Grounded per l’amarissima attualità che inevitabilmente intercetta in questi giorni accesi dal conflitto Russo-Ucraino. Nella prova completa e robusta dell’attrice Linda Gennari risiede un sedimentato involucro di tensione psicologica, smosso anche dal sinuoso movimento lento della scenografia che ricalca e ricalibra il volteggiare aereo di un F16, il personalissimo di Linda, abbandonato per i droni, si chiamava Tiger. Una rampa metallica incorniciata da strisce di led che cambiano colore a seconda dell’atmosfera, dà forma e crea piani e traiettorie laser che scandiscono, dividono e frammentano lo spazio scenico in fessure e quadri che lo spettatore può osservare. Al centro, sempre lei, la nostra pilota con il suo flusso di coscienza, e grazie al variare elettronico delle linee musicali e della voce, il racconto prosegue in capitoletti rapidi che si accendo e si spengono al variare dell’umore del personaggio in scena. Gradualmente sprofonda nello squilibrio mentale, corroborato da tutto l’apparato tecnico che rimane comunque minimale, lisergico ed efficacissimo.
Grounded ributta letteralmente a terra le smanie di normalità familiare, c’è un vuoto etico e morale incolmabile che si muove sul terreno dell’ inconscio. Disumano, il futuro prossimo è disumano, nelle fredde esecuzioni e negli artifici della perdizione : Las Vegas ne è il sottobosco ambientale emotivo perfetto con le sue cattedrali nel deserto, la sua imbastitura monolitica, il suo cimitero di bersagli senza nome. Spazzatura, pepsi sotterrate come pezzi di corpi, ecco l’omaggio anti-stress per il lavaggio di coscienza.

L’adrenalina nostalgica del volo aereo alla Top Gun è sostituito dalla depressione della poltronautica, una strada senza ritorno, perché la guerra segue l’utile non il romantico, è positivista, labirintica ed oppressiva: è la lotta di Dio che schiaccia i suoi profeti, tutto è sotto controllo, tutto deve essere sotto controllo. Un turno dopo l’altro, ci si dà il cambio con un cinque per interrompere la trance dell’osservare per ore ed ore sassi, jeep e possibili obbiettivi, e per indugiare, con la vista distante migliaia di miglia ma posta su di un solo grande schermo, immagini morenti, con il potere di uccidere con un joystick e la punta di un dito. Chi? I nemici, altri esseri umani benché siano in età militare e rappresentino una minaccia per i nostri “eroi”.
L’importante è che vinciamo Noi perché gli altri sono colpevoli.
Perché li riconosciamo i colpevoli (?).
“Human” cita il cartellone sulla facciata del Teatro Nazionale di Genova, Umanità, ed è anche il titolo di tutta la stagione, un’urgenza che questo spettacolo persegue, proseguendo la linea tracciata dai precedenti spettacoli sul G8.
Per quel poco che possono valere due occhi in una sala buia, nel terribile rimbombo dell’attualità che terrorizza, ci pare questo un buon modo di fare teatro oggi.
And we’ll rise over love,
Paolo Nutini – Iron Sky
And over hate,
Through this iron sky,
That’s fast becoming our minds
Over fear,
Into freedom.
Into freedom!

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