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The Tree of Life – Terrence Malick

The Tree of Life (2011): Terrence Malick, Emmanuel Lubezki alla fotografia, Douglas Trumbull agli effetti speciali, Alexandre Desplat alle musiche.

Palma d’oro al Festival di Cannes del 2011, The Tree of Life è la storia di una famiglia texana degli anni cinquanta e della nascita dell’universo.

Sono passati 10 anni dall’uscita di questo film svolta e vi confidiamo che qui si esplora un territorio al di là del Cinema. Non è facile cadere nell’incanto cosmo-poetico e gnostico1 del quinto film del regista texano, ma se ci riuscite c’è da ritenersi fortunati. D’altronde è un’opera che punta in alto verso un’esperienza totalizzante di magnifica meraviglia e di relazione con l’assoluto, un po’ come stare attoniti ad ammirare l’orizzonte in cima ad una montagna.

“Lo stato supremo della bellezza, è la grazia.”

Henri Louis Bergson

Così estremamente aperta al tutto circostante non era mai stata la riflessione esistenziale di Malick, che ci aveva già abituato al suo moto spirituale nelle pellicole precedenti, specialmente le ultime due The New World e The Thin Red Line coi suoi naviganti e i suoi soldati, e più che la scoperta c’è piuttosto la possibile riconciliazione di uno smarrimento. Una riflessione fluviale e in abbagliante ed inarrestabile espansione anche nei titoli successivi, come fossero altri rami dell’albero che risalgono verso il cielo: To the Wonder, Knight of Cups, Voyage of Time, Song to Song ma anche A Hidden Life e sicuramente anche il prossimo The Way of the Wind.

Perdersi nella luce. L’albero della vita proietta un mondo infinito e ne rivela l’anima universale. Pare possibile? Pare retorico? Pare eccessivo? Ed invece è un trionfo di trascendenza cinematografica, un flusso esperienziale al quale si prende parte come spettatori della vita e del vuoto, del tutto e del niente, della creazione e dell’annientamento. Ma come ci si perde poi ci si ritrova, in ogni dettaglio, in ogni specchio dell’iride, nel giro lento di una spirale di grazia e timore, della Madre (J.C.) e del Padre (B.P.).

La vita familiare degli O’Brein è osservata nel suo manifestarsi spontaneo e scandita poi, da un profondo dolore, intimo ed esistenziale. Questa semplicità di ispirazione autentica riflette il vortice della creazione del mondo, i fratelli ne incarnano il conflitto con i loro giochi liberi ed i loro rapporti: tra di loro, coi genitori e con il resto del mondo. L’immagine a luce naturale così pura e lirica nella sua bellezza, che Lubezki ne ha fatto una scuola di sublime, si sposa con la levigazione degli attori, che non paiono recitare ma incarnare spiriti espressivi.

Some few films evoke the wonderment of life’s experience, and those I consider a form of prayer. Not prayer “to” anyone or anything but “about” everyone or everything.

I value kind of prayer when you stand at the edge of the sea, or beneath a tree, or smell a flower, or love someone, or do a good thing

Roger Ebert

Il poetico di Malick eccede nell’ ermetismo e  travalica l’estetica, il tempo non ha più misura, le immagini sprigionano uno slancio vitale dilatato e sospeso. Ogni parola è una preghiera.

Riabbraccerai i cari nell’aldilà? Metafisica di una volontà di (im)potenza. Dove si può fermare lo sguardo? Perché fermarsi in un posto? Chi è mio padre? Chi è mia madre? Chi sono io? Quale è il senso di ogni cosa?

La risposte restano incompiute, ma si possono scorgere nell’alba [dei tempi], sentire nei sussurri del vento [la musica e le voci], ricercare sul ciglio dell’altro [che – fisicamente – non c’è]: una marea calma racchiusa in una lacrima di infinito, nascosta, nel barlume di una luce che nasce dal buio.

Religioso Silenzio.

1 su Malick e lo gnosticismo vi rimando all’interessante approfondimento fatto da Alessandro Baratti su https://www.spietati.it/knight-of-cups/

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