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Annette – Leos Carax

Un lupo ulula stridulo alla luna. Questa immagine sintetizza abbastanza bene Annette: il musical-kolossal, primo film in lingua inglese, del demiurgo francese post-nouvelle vague, Leos Carax.

Il film si concentra su una triade principale di personaggi: padre, madre e figlia. Il padre Henry Mchenry è il lupo ombroso delle fiabe, un comico pugile, che pare il Jake La Motta di De Niro: nel suo prepararsi all’esibizioni in accappatoio. Alto e dalla voce suadente e cavernosa, si presenta sicuro di sé e possente, ma in un certo cantato, per contrasto, vibra docile, quasi fragile, ululando acuto e stridulo. Adam Driver (che lo interpreta) è il corpo attoriale del momento ed è stato testato già da un nutrito gruppo di autori: Jarmush, i Coen, Baumbach, ma anche Scorsese, Soderbergh e Gilliam, senza tralasciare la recente doppietta con Ridley Scott (The Last Duel e House of Gucci). Insomma è il Favino d’America.

Qui con Carax è il corpo espressivo di un viso tenebroso; questo ammaliante stand-up comedian, soprannominato “the ape of god”, lo vediamo misurarsi nei suoi spettacoli dinamico e marmoreo, affrontando vis à vis il pubblico “canterino” in teatro, che lo incalza come un coro greco: meta-teatro, meta-cinema, meta Zuckerberg, meta di O’Driscoll! Henry infatti è un metamorfico uomo lupo pervaso da ambigue intenzioni e disarmonici pensieri, soprattutto nei riguardi della “Luna” e della sua cantrice, nonché di lui sposa: quest’ ultima interpretata da Marion Cotilliard. Lei, Ann, è una cantante lirica di successo, una musa sovraimpressa che perdura nel tempo, anche quando non è più in scena. Una bellezza metafisica che muore ogni sera sul palcoscenico e che risplende in ogni inquadratura, in tutte le vesti in cui è immortalata: diva, biancaneve o creatura degli abissi.

L’amante passionale è solleticato dall’abisso e dal meschino cinismo che crea con, e per, il suo cabaret. Non per logica ma per un gomito alticcio diviene un padre autodistruttivo, che nel look cangiante rispecchia sempre di più lo stesso regista. Il quale apre il film con l’abbraccio della figlia Nastja: il preparativo della brillante sequenza dei titoli di testa, che si presenta come un backstage del musical. Annette, infatti, è un film direzionato a se stesso e alla figlia: un esorcismo di pensieri bui, veicolati e mascherati dal sovraccarico musicale diretto dai fratelli Sparks (eccellenti), che tiene a debita distanza lo spettatore, facendolo salire su di una nuvola scura di sospensione della realtà.

É un’opera grottesca e strana, come la controversa rappresentazione della pargoletta, Annette appunto: a tratti profonda e a tratti respingente, comprensiva di scelte registiche altissime e virtuosistiche (il premio di Cannes ci pare meritato). La panoramica in 360 sempre più stretta sul primo piano del direttore d’orchestra, interpretato dal nerd ebreo di Big Bang Theory (Simon Helberg), oppure gli interrogatori a ritmo di musica, ne sono un esempio. Ma anche di tracolli: i colori troppo saturi e un digitale talvolta già posticcio. Sembra che l’intero film tra-balli in mare aperto, sullo yacht della coppia, in un variare drastico e verticale delle onde in tempesta. Ma veniamo ad Annette, la figlia di Ann ed Henry, la cappuccetto rosso della favola: è lei l’elemento collante, e destabilizzante, di tutta la vicenda della seconda parte del film. Lei che è una piccola pinocchietta surreale con una voce da sirena. La sua forma da marionetta la rende il feticcio di quella realtà che Carax tiene per sé. Nell’ultimo atto del film diventa l’oggetto sfruttato dall’irrefrenabile rincorsa mefistofelica dell’iper-spettacolo, ma nel baby miracolo canoro si cela la cicatrice di un’infanzia negata e di un amore perduto per sempre.

A : “You have nothing to love”

H: ” Why can’t i love you? Can i love you”

A: “No, you have nothing to love”

H: “Can’t i love you, Annette?

A:”No, not really daddy, it’s sad but it’s true”

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