Il figlio di Saul – Laszlo Nemes
«Sonderkommando», termine tedesco.
Nel linguaggio del campo di concentramento,
il termine indica un tipo particolare di prigionieiri,
conosciuti anche come «portatori di segreti» (Geheimnisträger)
I membri di un Sonderkommando
sono separati dal resto del campo.
Lavorano solo qualche mese
prima di essere giustiziati.1
Il figlio di Saul è un quadro che dallo sfocato si mette a fuoco sul protagonista (Geza Röhring) e poi non lo lascia più. È qualcosa che ti rimane addosso come la puzza di morto, è una croce rossa dipinta sulla schiena, un fardello bestiale di discriminazione. È un’agonia in soggettiva, una passione vissuta in prima persona e perciò immersiva e totalizzante. L’esordio folgorante del regista ungherese László Nemes è il viaggio della dignità umana che viene sepolta, è il tentativo di rappresentare l’irrappresentabile: gli ultimi giorni nel campo di concentramento di un uomo, Saul, un sonderkommando, e sullo sfondo sfocato ed in cornice2 il tragico destino di tutti gli altri, che spesso dal fuori campo arriva vibrando con rumori sordi. I visi sono marchiati, non ci sono lezioni da imparare ma solo l’orrore al limite ultimo e raggelante della spettacolarizzazione. È un film anche sul lavoro, una fabbrica di morte con i suoi moti sovversivi, gli operai segnati dalla stessa sorte dei corpi freddi trascinati dalle docce ai forni: un paradosso etico che si è fatto carne. “Il rabbino non ti salverà dalla paura”, quei disgraziati vogliono solo vivere o alla peggio combattere e allora perché ti ostini a cercare una sepoltura a quel ragazzo Ausländer Saul? Che gesto insensato rendere onore e sacramenti ad un unico esile corpo nel mezzo della mattanza dei roghi e delle fosse comuni. Quello è davvero tuo figlio Saul? Quello è davvero un rabbino?
“Siamo tribolati da ogni parte, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti ma non uccisi.” 3
No, non c’è il riscontro della seconda parte delle frasi di San Paolo, i “ma non” non sono sostenibili qui. È tutto schiacciato, frenetico, caotico, le lingue e le razze si mischiano nel fetore del dolore e della corruzione, nella disperata e agognata lotta alla sopravvivenza regna l’immoralità della carne, giusto per rimanere ancora in termini paolini. Dov’era dio? Non c’è speranza fino ai confini del bosco, rimane solo la rassegnazione. La cosa più naturale e normale del mondo come sorridere di fronte ad un ragazzo, anche se ti ha appena consegnato l’aldilà, diventa un ghigno liberatorio che mostra il sollievo di uno spirito finalmente in pace.
Saul quel biondo non era tuo figlio ma è come se lo fosse stato.
1Scritte introduttive a inizio film
2Di questo ne hanno parlato meglio Marco Grosoli e Eddie Bertozzi https://www.spietati.it/il-figlio-di-saul/
3 San Paolo (Saul) seconda lettera ai Corinzi, capitolo 4, versetti 8-9
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