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Charlie Chaplin – The Cure [ il palliativo universale]

In questi tempi in cui tutti sono certi delle proprie teorie sanitarie bisognerebbe prendere spunto dal cinema del primo novecento, ossia abbandonare lo strabordio della parola per tornare al muto e alla centralità del corpo. Molto più che in passato il corpo è tornato centrale soprattutto nel suo statuto di cagionevole oggetto di sintomi, scientificamente parliamo di malati, contagiati come meri corpi fisici depotenziati e vulnerabili. “TUTTI DOTTORI” è il momento.

In coscienza tastieranti ed internauti ci siamo spesso sentiti spaesati dal vortice delle notizie che rimbalzano, dalle sequele di numeri e statistiche, dai comportamenti che oggi sì, domani no, dopodomani forse. Due anni di cicliche prospettive, e gira, e gira questa porta girevole nella quale siamo sballottati non si ferma più.

Liberiamo il corpo quantomeno dagli interessi ideologici delle controparti, – ALERT – non vi sto mandando garbatamente ad espletare i bisogni, chiariamoci. E chi se non l’esempio più famoso di corpo anarchico nel cinema può aiutarci a farlo?

Charlie Chaplin nel suo periodo pre-sonoro gioca e ci ricorda sempre di non prenderci mai troppo sul serio in materia di cinema, sebbene dietro le buffe e geniali invenzioni slapstick si celino sempre delle profonde riflessioni.

Chaplin (…) elabora e porta a perfezione un personaggio complesso e completo come Charlie (Charlot) divenuto nitida e immediata maschera cui il cinema ha saputo dare – come non era mai successo prima – caratteri di universalità, per poi riflettere, con essa e senza, sulle trasformazioni della società contemporanea1

Nella società la necessità di risanarsi con la cura sobria del benessere si scontra con la pulsione “soggiaciuta” che si libera nell’ebbrezza alcolica.

Nel cortometraggio “The Cure” del 1917 i riti di costume di una spa del primo novecento diventano una burla a ritmo di sferzanti gag nelle quali un corpo anarchico si ribella al vacuo rilassamento. Senza scordarsi mai bastone e cappello, sostenuto da un bagaglio di essenze (liquori), il nostro “eroe” spariglia la quiete tramutandola in festa.

Qual è la cura? La fonte (nel film è letteralmente un pozzo di presunta acqua miracolosa) della felicità e balsamo dei mali: l’acol!? O forse semplicemente il palliativo universale al malessere dell’uomo non esiste, e così basta un passo (pluff!) per decretare la fine

anche di questa piccola ed effimera recensione.

1 COME IN UNO SPECCHIO – I grandi registi della storia del cinema, GOFFREDO FOFI

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