La donna della domenica: Passatempi borghesi
La Donna della domenica è un film giallo atipico, che come ogni giallo, comincia con un assassinio, quello dell’architetto Garrone, personaggio squallido e greve, che orbita intorno ai salotti bene della borghesia torinese.
Il caso viene affidato al commissario Santamaria (Marcello Mastroianni), che insieme al suo collega, il commissario De Palma (Pino Caruso), si ritrova a contatto con una realtà affascinante e distante, composta da personaggi altolocati che discutono per ore sulla pronuncia di Boston, e così che il commissario Santamaria conosce Anna Carla Dosio (Jaqueline Bisset), affascinante quanto annoiata moglie, di un ricco industriale torinese che ha come compito più importante la preparazione delle valigie da viaggio del marito e Massimo Campi (Jean-Louis Trintignant), figlio unico di una agiata famiglia Torinese, che vive la sua omossesualità nel terrore costante di essere scoperto.
I due vengono coinvolti nel grottesco omicidio a causa di una lettera della Dosio che parla proprio del Garrone in termini quantomeno sospettosi.
Il film, del 1975, è un’opera in alcuni punti poco centrata ma impregnata della forte critica sociale, presente in tanti film di Comencini: uno su tutti e sicuramente più incisivo Lo scopone scientifico del 1972.
Un’opera dal cast eccezionale, con la colonna sonora incalzante di Ennio Morricone, la sceneggiatura dei grandi Age e Scarpelli e la fotografia di Luciano Tovoli, tutti elementi che suggeriscono le grandiose intenzioni del regista che si infrangono, perdendosi, nel genere giallo.
Nonostante ciò, è comunque percebile la forte critica sociale a una classe borghese lontana dai problemi reali e dalle preoccupazioni dell’uomo comune, che passa le ore a discutere di inezie e banalità, un puro esercizio di stile, chiamato dallo stesso Santamaria “stronzismo”, che così definisce l’intelligenza usata per ammazzare il tempo.

Lo sfondo della città di Torino incornicia i personaggi perfettamente, diventando parte attiva della narrazione, permettendo alla trama di svilupparsi tra ville sontuose e squallidi appartamenti, tra fontane storiche e il centro della metropoli.
Tutto contribuisce a rendere sempre più evidente la distanza che c’è tra personaggi come la Dosio e la sfilata di poveri e reietti che costituiscono un evidente contraltare, fino alla perfetta chiusura circolare del film che inizia con uno sguardo sulla borghesia annoiata, che dopo essersi goduta lo spettacolo delle miserie umane e delle sue bassezze, torna ad annoiarsi, per ricominciare a parlare di fonetica come se ne valesse la loro fatua e impalpabile esistenza.
Probabilmente il genero giallo, si rivela per Comencini un punto debole, in quanto diluisce la forza del biasimo sociale, percepito in tutto il film ma regala comunque una pellicola divertente, dai dialoghi recitati alla perfezione e una Torino che affascina e seduce.
Michela Mucelli
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