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Gli anni più belli – L’indecenza del tradimento

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Il mondo gira intorno a 3 stronzi, egoriferiti, Paolo amante di uccelli, Giulio l’avvocato arricchito e Riccardo il radical intellettuale (comunista?): una spregevole caricatura di vita e sogni che manco a crederci davvero nemmeno sfiorano la realtà, con una tristissima deriva anti-femminile, dove le donne sono tutte zoccole e/o palle al piede. Gli Anni più belli è il racconto generazionale di un’amicizia o forse lo sguardo con il prosciutto negli occhi di un’illusione stereotipata (sì è sempre quella): quell’amore fasullo che altro non è se non un tranello per gli incravattati per limonarsi le donne altrui senza sentirsi in colpa, perché in fondo il tradimento è una cosa normale se ci bevi su un bicchiere di vino. Colpi di vento e capodanni tutto fanno cambiare come per magia, tutto accade così come caduto dal cielo nell’insensatezza di un’autodefinizione snob di dolori borghesi senza aver la capacità di porre lo sguardo veramente a cosa sta intorno.

Ciò che accade è solo un corollario ammiccante a problemi fake e ad arringhe politiche fake, giusto per sentirsi dire di essere impegnati. Non ci si faccia prendere in giro dal pietismo facilone e dalla moralina becera e accattona che si presenta plastificata come la faccia stantia di quella voce boriosa che è Baglioni, innocuo spillo di musica italiana dalle cui canzoni sta evolvendo un trash-genere cinematografico (ahi noi PICCOLO GRANDE AMORE). Non fatevi ingannare, la povertà non è folclore come il sedicente cineasta ce la vuole raccontare, rurale sofferta e vagamente bucolica, non beviamoci neanche il pippotto sul precariato. Quello che si prova è solo il fastidio alla falsità dell’interpellanza invadente di sguardi in macchina ammiccanti e furbi, non cascateci è veramente cinema amatoriale e senza idea, rabbonito e malcelato.

Com’è facile essere populista, Muccino è la Meloni del Cinema Italiano (non a caso entrambi sostenuti da American-Land): colui che si concentra sul consenso italiota, nostalgico, sciacallando qualsiasi immaginario passato (Roma e la fontana di Trevi hanno rotto il cazzo) e presente (marchettata ignobile a Sanremo), Emma Marrone che grida andrà bene ai suoi concerti, non qui insieme ad attori spremuti in interpretazioni fuffa (Favino, Santamaria, Rossi Stuart, Ramazzotti), non c’è niente di peggio, ben venga allora l’ipertrofico barocchismo di Sorrentino che almeno se smarrona lo fa in grande e con un certo stile. Stile che Muccino non ha mai avuto, deve ringraziare di aver azzeccato due film americani piagnoni con Will Smith che gli hanno permesso di continuare a campare, avranno certamente apprezzato i suoi amici la paraculata dell’11 settembre ma è da un paio di flop che non lo si fila più oltremanica. Frustrato come i suoi protagonisti, specie dopo le improprie e raggelanti argomentazioni che ha espresso su il cinema di Pasolini ai 40 anni dalla sua morte.1446645907_gabriele_muccino_post.jpg

No non dimentichiamo la superficialità con cui straparla di estetica e popolarità, di chi può essere un regista VERO come lui, POPOLARE e che fa andare bene (Mah) l’industria come i suoi maestri (dai quali è buono a scopiazzare giusto l’inutile scorza); è veramente poco tollerabile la miopia di vedere il cinema italiano (passato) principalmente come una “scuola di poetica e racconto cinematico” nonché di eleganza per il resto del mondo, alla stregua della moda. Sebbene sarebbe interessante parlare di intermedialità tra cinema, moda, passato nostalgico, il pensiero del regista romano si ferma molto prima: forma e contenuti sono concetti mercificati come pacchetti di stile d’esportazione MADE IN ITALY in piena vena pop-artistica, semplicemente un rapporto elitario e classista riguardo al cinema nostrano; perché saranno pur stati i poveracci improvvisati a uccidere il cinema italiano (cioè a non farlo vendere più, a non farlo gongolare e scimmiottare, come del resto fa il cinema che muccino propone), ma il cinema bisognerebbe farlo se si ha veramente qualcosa da dire e non per riempirsi l’ego raccontando sempre la stessa insipida storia.

Ma la colpa è sempre degli altri, dell’anti-cinema che ha smesso di raccontare, bisogna dire basta a questa retorica fasulla: il cinema è una cosa seria e non si può farla passare incosapevolmente come una barzelletta dolce amara.

“Con legittimo e immenso rispetto, il cinema è altra cosa.”

AB

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