Pietro Germi- il genovese anticipatore del poliziesco italiano
Pietro Germi nonostante abbia sempre lavorato fuori dalla propria città natale, ha portato con sé tratti di “genovesità” nei film, soprattutto nei primi. Le sue pellicole anticipano e influenzano il boom del poliziesco italiano. In periodo di pieno neorealismo Germi è stato capace di staccarsi in maniera graduale ma decisa da quello stile egemonico (appunto neorealista), sfumando sempre di più e in modo molto preponderante nel noir. Questo andamento molto evidente all’inizio della sua carriera muterà notevolmente col tempo, poiché successivamente, come ben sappiamo, la strada che percorrerà con grande fortuna sarà quella della commedia all’italiana, nella quale però è sempre riscontrabile quella cupa amarezza tipica di tutto il cinema di Germi; inoltre anche nelle commedie tracce di elementi polizieschi saltano fuori ogni tanto, basti pensare come anche Divorzio all’italiana (1961) giochi in maniera molto originale con suggestioni da cinema investigativo-giudiziario: Ferdinando Cefalù e il suo piano minuzioso per liberarsi della moglie con annessi strumenti da vero investigatore come il registratore ed il binocolo o le dilettevoli arringhe sui cavilli giudiziari legati al delitto d’onore.
Nel 1945, stesso anno di Roma città aperta, esce il suo primo film Il testimone e troviamo a collaborare al film: Alessandro Blasetti come supervisore e Cesare Zavattini alla sceneggiatura. Siamo negli anni caldi del neorealismo e, complice l’influenza dei collaboratori appena citati, l’atmosfera del film è immersa nella contemporaneità e richiama inevitabilmente a quel tipo di cinema, venendo risucchiato nella corrente neorealista. Le dinamiche da poliziesco giudiziario dell’incipit mostrano quanto alcuni segnali di sfasamento siano già rintracciabili: il processo ad un presunto assassino la cui condanna a morte dipenderà da un testimone chiave(Arnoldo Foà). La storia si svilupperà sui binari del dramma intimistico, assumendo la forma di un atipico giallo psicologico, con il protagonista Pietro Scotti, interpretato da Roldano Lupi, scombussolato dall’inaspettata occasione di una nuova vita, che si preannuncia felice ma che dovrà fare i conti con i sensi di colpa dell’ombroso passato. I protagonisti di Germi sono molto spesso uomini arcigni ma passionali, che soffrono la solitudine, difatti spesso le loro relazioni affettive sono destinate a non durare. Questa particolarità rispecchia molto il carattere introspettivo dello stesso Germi, che dalle testimonianze delle persone a lui più vicine viene descritto proprio così: intransigente, dalla scorza dura, scontroso ma anche passionale, sensibile, particolarmente sofferente e riflessivo riguardo alla solitudine. Non è un caso che successivamente interpreterà lui stesso questi personaggi malinconici, rendendo ancora più palese questo legame intimo che collega i caratteri filmici con il proprio creatore, lo vediamo in Il ferroviere (1956), L’uomo di paglia (1958) e Un Maledetto Imbroglio (1959). Nel suo primo film questo legame protagonista-regista è ravvisabile nel sotto-testo che scaturisce in un dialogo tra Pietro e il suo vicino di cella Andrea, anche lui condannato a morte, dove si presentano e si comunicano vicendevolmente i luoghi di provenienza:
Andrea:- Di dove sei?
Pietro:- Di Genova.
Andrea:- Ci sono passato in treno una volta, c’era da aspettare la coincidenza e sono uscito a fare un giro intorno alla stazione. C’era una strada … aspetta … una strada stretta piena di gente dove vendevano pesci, patate fritte …
Pietro:-Via al Prè?
Andrea:-Può darsi … non mi ricordo.
Pietro:- Tu di dove sei?
Andrea:-Di Asti.
Pietro:- Non ci sono mai stato.
Andrea:- Non proprio di Asti, di un paese vicino.
Pietro:- Non ci sono mai stato.
Andrea:- Non c’è niente di speciale però è una bella campagna tutta vigne e colline, anche il vino è buono… C’è il sole da qui.
Pietro:- Sì.
Andrea:- Io ce l’ho al mattino e al pomeriggio viene da te.
Pietro da Genova proprio come Germi. Il dialogo rivela inoltre un ricordo aleatorio della città vecchia, di uno dei vicoli forse più celebri, un frammento di Zena citato sbrigativamente da Pietro/Germi/Scotti dissimulando qualsiasi emozione, rispondendo secco all’interlocutore astigiano come a dire con fierezza: vengo da lì ti basti sapere questo, non aggiungo altro. Risoluto, schivo e duro ma sotto quell’involucro di riservatezza protettiva si nasconde un animo tormentato e profondamente esistenzialista.
Nel 1947 esce il secondo film del cineasta ligure il noir investigativo Gioventù Perduta. La pellicola, dopo aver passato i soliti problemi di censura dati dalla crudezza di alcune sequenze, era stata anch’essa considerata espressione del cinema neorealista, vera e propria corrente centrifuga cinematografica nazionale:
il neorealismo per qualche tempo è la carrozza di tutti: basta la condivisione di alcuni caratteri, anche solo tematici, perché un film possa essere assimilato nel territorio neorealista. Poi si cercherà di disciplinarne le proprietà e le caratteristiche, ma in quel momento ognuno avrà preso strade diverse da quelle iniziali.1
Sebbene la componente giallesca è sempre stata molto presente in tante pellicole neorealiste, in quest‘opera, ancora di più rispetto alla precedente(Il testimone), è molto marcata. Il film sembra camminare sulla strada del neorealismo per quanto riguarda il contesto reale, correlato alla situazione sociale e psicologica riguardante i «disastri provocati dalla guerra sulle ultime generazioni»2. Sono presenti infatti esplicite stoccate sociologiche e morali come si dimostrano il cinismo strafottente di Stefano e la didascalica lezione del padre, professore universitario, sull’aumento della criminalità giovanile nei ceti medio-alto borghesi dopo la guerra. Ma nella forma e nello stile si nota invece una ricerca alternativa rispetto ai canoni del tempo, c’è un distacco importante. I percorsi narrativi ricercati sono quelli del cinema investigativo e mostrano una notevole influenza proveniente dai noir americani, «Gioventù perduta ostenta l’influenza del gangsteristico statunitense nei tagli di inquadratura, nell’illuminazione […] ma anche nel modo in cui si vestono, si muovono, comunicano tra loro»3 . Due rapine, diverse sparatorie, bande di giovani criminali, club da whisky, ballerine e pianoforti, partite di poker, tutti elementi di una contaminazione americana che vanno a confermare la tesi di Brunetta:« tra gli esordienti, Pietro Germi è quello che guarda di più ai modelli americani e vuole trapiantarli nel contesto italiano».4
Gioventù perduta è un film targato Lux prodotto da Carlo Ponti, personaggio molto incline a quella particolare svolta produttiva che si affermerà di lì a poco in Italia,
Sotto il segno della Lux muovono i primi passi Carlo Ponti e Dino De Laurentis, che mirano a uno standard capace di sostenere il confronto con Hollywood. Il loro ruolo nella crescita del cinema italiano, dal punto di vista produttivo e spettacolare, è fondamentale: consente di superare la crisi di metà anni cinquanta e raggiunge, nel decennio successivo, il momento più alto e maturo di tutta la storia della produzione italiana dalle origini.5
Il protagonista interpretato da Massimo Girotti, l’investigatore Marcello Mariani, è un personaggio interessante per il nostro studio. Innanzitutto anche lui al momento della finta iscrizione all’università dichiara di provenire da Genova, sottolineando quel sottilissimo legame con il regista. Inoltre si dimostra un precursore dei commissari del poliziottesco, poiché la sua vita sentimentale viene sacrificata per dare priorità al lavoro e al senso del dovere. Marcello incarna fedelmente l’archetipo del poliziotto che si dà da fare sul campo, il suo innamoramento per Luisa lo costringerà ad allontanarsi dal caso ma all’ennesimo crimine si scatenerà in lui un grande senso di colpa:
Commissario:-Tu dove vai?
Marcello:-Ad arrestarlo.
Commissario:-Se preferisci che vada qualcun altro, sei ancora in vacanza.
Marcello:-Se non fossi andato in vacanza quella ragazza non sarebbe morta.
L’abnegazione per il proprio lavoro si scontra con l’affetto per la ragazza e nell’intreccio narrativo di Germi questo ha un notevole spessore. Nei film degli anni settanta questa relazione si deteriorerà ulteriormente: gli uomini di giustizia si fionderanno ancora più profondamente nel loro sporco lavoro, le relazioni soprattutto quelle amorose saranno molto più marginali. Già da alcune battute di Marcello si può intuire la sofferenza e la frustrazione della vita del poliziotto:
Marcello:-Noi della polizia non abbiamo niente di vero, nome, connotati, anche le barbe e le parrucche sono finte. Un mestiere divertente no!? Ora sai chi sono, un povero impiegato con la pistola in tasca che rischia la pelle ogni giorno per ventimila lire al mese comprese le gratifiche, e che per risparmiare qualche lira si fa le sigarette da sé quando nessuno lo vede!
Un altro particolare che ci fa accendere una lampadina è quello all’interno della sequenza subito dopo l’omicidio di Laura. Tra le varie prime pagine di giornale che scorrono allarmate per l’uccisione della ragazza c’è un titolo che tuona così:”Che Cosa fa la polizia?”, proprio come verranno provocatoriamente intitolate alcune fortunate pellicole del filone degli anni settanta.
Nel 1948 con in nome della legge si continua su questa via, l’azione si sposterà in un paesino siciliano dove il procuratore, nuovamente Massimo Girotti, troverà vita dura a esercitare il suo ruolo in un clima omertoso, dove gli abitanti sono soggiogati dalla mafia. Ritorna l’uomo solitario, da solo cercherà di combattere le ingiustizie spalleggiato unicamente dal fido maresciallo interpretato da Saro Urzì, non accetterà la sconfitta anche se dovrà per questo rinunciare alla fuga d’amore.
Il film La città si difende (1951) invece è visto dallo studioso Curti come un esempio in cui il poliziesco tramite le vicende dei personaggi faccia assumere alla città, Roma in questo caso, il ruolo di protagonista:
in La città si difende (1951), Germi mette in scena le vicende parallele di quattro disperati che rapinano l’incasso di uno stadio durante una partita di calcio. Già dalla sequenza iniziale della rapina – muta, scandita da tagli di inquadratura di scuola espressionista e da un montaggio raffinatissimo – il regista genovese dimostra una splendida padronanza del mezzo espressivo. Ma più ancora che in Gioventù Perduta, la struttura poliziesca serve a svelare uno spaccato sociale: dopo il colpo, il film segue le peripezie dei quattro, ciascuno avviato verso l’inevitabile sconfitta, attraverso una metropoli vista più che mai come pericolo e luogo di perdita di un’umanità solidale. […] Ed è proprio la città ad assurgere a protagonista, in una costruzione drammatica forse troppo dimostrativa, nell’ineluttabilità con cui conduce i personaggi al loro destino.
Ma è soprattutto per il film Un maledetto Imbroglio (1959) che verrà riconosciuto come «Il cineasta che con maggiore costanza cerca una via italiana al poliziesco»6. Il film si misura dialetticamente con la sua fonte originale, l’ingarbugliata opera filologica-letteraria Quer pasticciaccio brutto de via Merulana di Carlo Emilio Gadda, semplificando notevolmente la storia, rendendola un tipico giallo investigativo, una distanziazione inevitabile e necessaria per la comprensibilità spettatoriale nonché, pure, per il preservamento dello stile del regista. La rivisitazione di Germi è molto libera, è nettamente più sanguigna e diretta tanto che viene proposta una soluzione al mistero, Ingravallo scova il colpevole dell’omicidio, laddove nel mare incerto del libro si rimaneva nella totale confusione e insolutezza del caso. Ma l’atmosfera della Roma borghese e burina è azzeccata e in entrambe le opere «il genere poliziesco […] è veicolo di uno sguardo morale, disperato e sarcastico insieme»7. Il film è considerato un momento importante nella storia del poliziesco italiano, Bruschini e Tentori lo vedono come «il primo autentico prototipo del genere che sarebbe poi esploso negli anni settanta»8, lo stesso Germi l’aveva definito in un’intervista a «Epoca» il primo caso di film poliziesco italiano. La sua interpretazione del commissario Ingravallo si dimostrerà particolarmente moderna rifacendosi molto alle caratteristiche dei protagonisti dei film citati in precedenza. Anzi possiamo dire che il personaggio di Germi sia ancora più astuto e burbero e spinge il discorso un passo più avanti; l’indagine è l’unico centro gravitazionale della pellicola, la vita extra lavorativa del commissario è ristretta ad una camera da letto poco curata e ad una fantomatica relazione con la signorina Paolina alla quale dà continuamente buca, dimostrando una cura praticamente inesistente nei suoi confronti. Infatti nella pellicola è relegata costantemente al fuoricampo, ne sentiamo solo la voce al telefono. Le movenze ed il carisma di Ingravallo danno una caratura e un’aria fascinosamente cupa al personaggio che riprende le qualità del tipico investigatore brillante, di chiara derivazione americana.
Volto deciso, corporatura robusta e imponente, sguardo indagatore. Con questo personaggio il regista-attore crea l’antesignano di tanti futuri eroi del poliziesco italiano, pur risentendo in maniera non indifferente dei detective del noir americano ideati da Chandler o da Hammet, […]. Disincantato e sicuro di sé, duro ma anche profondamente umano. […] La sua umanità e la sua solitudine lo distinguono dagli altri personaggi, mentre la sua ostinata perseveranza e il suo rigore morale rappresentano un chiaro punto di riferimento per i futuri protagonisti del poliziesco italiano9.
1GIAN PIERO BRUNETTA, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Torino, Einaudi, 2003, pp. 171-172
2Ivi, p.177
3ROBERTO CURTI, Italia Odia – il cinema poliziesco italiano, Torino, Lindau, 2006, p.23
4GIAN PIERO BRUNETTA, Guida alla storia del cinema italiano 1905-2003, Torino, Einaudi, 2003, p. 176
5Ivi, p.140
6ROBERTO CURTI, Italia Odia – il cinema poliziesco italiano, Torino, Lindau, 2006, p.26
7Ivi, p.28
8ANTONIO BRUSCHINI e ANTONIO TENTORI, Città violente – il poliziesco italiano dall’origini a oggi, Mondo Ignoto, Milano, 2004, p.32
9Ibidem
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Questo articolo è un capolavoro, complimenti! 🙂
grazie 😉 sei molto gentile
Grazie a te per la risposta! Colgo l’occasione per dirti che anch’io ho appena pubblicato un nuovo post, in cui racconto una mia esperienza molto importante e molto personale… spero che ti piaccia! 🙂