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Una piccola Cine-Nevrosi.

Scritto da: Daniele Parisi

La proprietà non è più un furto (1973) è il terzo ed ultimo atto della Trilogia delle Nevrosi; questo film, oltre a chiudere il trittico, sancisce la fine della collaborazione tra Elio Petri e Ugo Pirro. Il film segna il ritorno del pittore, amico del regista romano, Renzo Vespignani, che crea i “titoli di testa con figure dai volti deformati e angoscianti” , molto simili ai ritratti del cosiddetto “ciclo degli Alienati” eseguiti da Théodore Géricault (1791-1824) tra il 1822-232. La pellicola è più estrema e feroce rispetto alle due precedenti, qui Petri e Pirro mettono in ridicolo la proprietà ed i proprietari:

Ciò che più aizzava la nostra immaginazione era l’intenzione di offendere i proprietari, di irridere all’ansia del possesso fino a considerarlo una malattia della pelle, un prurito che poi nel film affliggerà Total il bancario, destinato a vivere quotidianamente in contatto fisico con il denaro degli altri

Reduci dal successo internazionale delle due pellicole precedenti: “Indagine su un cittadino al di sopra di ogni sospetto” e “La classe operaia va in paradiso”, Petri e Pirro, con questo ultimo atto, si pongono in maniera più spregiudicata, creando una pellicola sui proprietari e sui ladri, rappresentati come due facce della stessa medaglia, e allo stesso modo necessari al mantenimento dell’equilibrio sociale: essi sono destinati a coesistere in ognuno di noi.

“Era tanta la libertà di cui in quel momento godeva il nostro cinema da sorprendere anche noi stessi. C’era da parte di molti autori il proposito di sfidare la censura, provocarla, ma fare addirittura un film contro la proprietà, no quello no, era un gesto irreversibile insopportabile, toccava qualcosa di duro che era dentro ognuno di noi, di cui non ci rendevamo conto del tutto”

TRAMA:

La pellicola si apre con il monologo di Total (Fulvio Bucci), nel quale spiega brevemente la genesi dell’egoismo e della religione del denaro. La scena seguente vede l’apertura della banca dove Total lavora: essa viene rappresentata come un vero e proprio tempio. Total viene chiamato a colloquio dal suo direttore e qui emergono i primi “pruriti” del ragioniere. Il direttore gli affida il compito di portare i soldi, prelevati dalla cassaforte, allo sportellista. Una volta portate le banconote, lo sguardo di Total si sposta sul macellaio (Ugo Tognazzi) che è intento a corrompere lo sportellista con dei pezzi di carne per poter saltare la fila ed eseguire tutte le operazioni. Total torna a casa, entra nella sua abitazione dalla finestra come se fosse un ladro, pranza con il padre (Salvo Randone) e con lui ha un dialogo sulla proprietà e sull’onestà. Il giorno dopo, in banca, il macellaio ritorna e, dopo aver messo in scena il solito teatrino di corruzione con la carne, entra nell’ufficio del direttore per firmare un finanziamento, ma non trovandosi davanti la cifra prestabilita minaccia il direttore di chiudere il conto e cambiare banca. Questi, spaventato, gli promette ancora più soldi e il macellaio se ne va serenamente. Poco dopo Total entra nell’ufficio chiedendo anche lui un finanziamento sostenendo che la propria onestà è come una garanzia. Il direttore, scocciato dalla situazione paradossale, manda via il ragioniere, ma quest’ultimo si licenzia e decide di fare del macellaio la sua vittima prediletta. Total decide quindi di privarlo dei tre simboli del potere del macellaio, cominciando dal primo: il coltello. Il macellaio, arrabbiato per la scomparsa della lama, decide di chiudere la bottega. La persecuzione di Total ai danni del macellaio continua dentro un cinema a luci rosse; proprio lì, Total ruba il secondo simbolo del potere del macellaio: il cappello. Dopo il secondo furto subito, il macellaio, una volta arrivato a casa, lascia Anita (Daria Nicolodi) da sola mentre va a parcheggiare l’auto. Anita rientra in casa e trova Total travestito; si fa consegnare tutti i gioielli e scappa lasciando il coltello per terra. Total entra poi in macelleria e rapisce il terzo oggetto del potere del macellaio: Anita. La porta a casa sua ma, non riuscendo a consumare nessun tipo di rapporto fisico, la lascia tornare a casa. Anita, una volta rincasata, viene accusata d’esser la complice del ladro. Poco dopo consuma un rapporto sessuale con il marito: è un rapporto che sembra quasi una confessione. Il macellaio “confessa” d’esser lui il vero ladro a causa dei suoi possedimenti e del continuo lucrare. Intanto Total, vestito da parroco, va in questura dal brigadiere per denunciare un finto furto: è una scusa per vedere l’archivio della Polizia. Il trucco riesce e, tra gli schedati, riconosce Albertone (Mario Scaccia), scappa con il fascicolo di quest’ultimo. Poco dopo Total interrompe Albertone durante il furto in una pellicceria e lo convince a rubare in casa del macellaio: i due entrano ma trovano solamente Anita che, spaventata dalla loro visione, urla facendoli scappare. Essi scappano con una macchina rubata e si dirigono da una ricettatrice per vendere le pellicce rubate da Albertone. Total si ribella alla ricettatrice perché le pellicce sono valutate poco, quindi la deruba e scappa via con tutto il denaro. Albertone, avendogli rubato il portafogli, giura di ritrovarlo grazie ai dati presenti sulla patente e di fargliela pagare. Poco dopo, Total viene prelevato da alcuni poliziotti e picchiato in questura: il macellaio viene chiamato per il riconoscimento, ma nega che sia Total il ladro che lo perseguita; lo difende anche quando Albertone lo denuncia. Albertone muore di crepacuore e il brigadiere si agita perché il fatto è avvenuto nel suo ufficio; si accorda quindi con il macellaio per una versione da dare ai superiori e alla stampa. Total viene rilasciato e ritorna a casa. Il macellaio lo raggiunge nella sua casa, porta con sé una valigia piena di carne come dono, inoltre offre a Total una somma di denaro in cambio della tregua. Total rifiuta ogni tipo di accordo e quindi il macellaio decide di lasciare la sua abitazione. Recandosi al funerale di Albertone, Total assiste al monologo di Paco l’argentino (Gigi Proietti), è un discorso d’elogio che si rivela una critica alla società e alla sua ipocrisia: il monologo, infatti, pone il ladro alla base delle leggi e dell’ordine sociale. Total, dopo quest’elogio funebre, torna a casa ma mentre è in ascensore viene strangolato e ucciso dal macellaio.

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TEMATICHE:

Questa terza pellicola, come la precedente, si presenta al pubblico sotto forma di commedia, ancor di più rispetto a “La classe operaia”, perché nei panni di uno dei protagonisti c’è Ugo Tognazzi, volto simbolo della commedia all’italiana di quegli anni.

“A volte le decisioni di scegliere un attore vengono prese per caso, dipendono da incontri, per prossimità, affiliazioni, amicizie […] Tognazzi abitava a Torvaianica dove anche Petri aveva casa e dove aveva l’abitudine di scrivere le sceneggiature. […] Pirro e Petri modellano la figura del macellaio, sull’attore, proprio “sulla volgarità vissuta senza pudore” che in qualche modo si ritrovava negli atteggiamenti di Ugo Tognazzi”

La scelta della figura del macellaio come maggior possidente, anziché un’altra qualsiasi figura sociale di spicco (notaio, avvocato, politico, etc.), risulta geniale per diversi motivi. All’epoca, il macellaio era catalogato come una professione fruttuosa al pari di un avvocato o un deputato, ma questi, a differenza di queste ultime due figure, vive a stretto contatto con tutto il tessuto sociale, quindi risulta la vittima più facilmente raggiungibile da parte di Total. La pellicola venne concepita come “corale”: Petri e Pirro misero in scena diversi punti di vista dei diversi personaggi che rappresentaro ognuno uno stato sociale. Ogni punto di vista viene introdotto da un piccolo monologo dove il protagonista del momento spiega la propria filosofia di vita:

Una sorta di apologo cadenzato da sequenze dove, a turno, i personaggi, ritagliati dalla luce su sfondo nero, si rivolgono agli spettatori raccontando la loro storia personale e offrendo la propria visione degli eventi

I due protagonisti sono il ragioniere Total e il macellaio, questi due rappresentano rispettivamente l’essere e l’avere, come sostiene Jean Gili nel documentario su Petri: “La proprietà è un discorso sull’essere e l’avere, l’avere distrugge l’essere“. Il dilemma esistenziale non è più “essere o non essere” ma bensì “essere o avere?”, un’evoluzione dovuta al capitalismo e alla sua forsennata iper-produzione. Total licenziandosi, e quindi rinunciando ad una rendita, non solo si chiama fuori dalla società come Lulù Massa ma, a differenza di quest’ultimo, diventa “essere”, rinunciando automaticamente all’avere, ovvero al denaro. Total diventa così un ideologo, ed è lui stesso a definirsi tale: “io sono marxista – mandrakista, rubo solo ciò che mi serve“. Non ruba denaro ma solo beni di primaria necessità, la sua allergia alle banconote gli impedisce ogni forma di possedimento. Infatti, poiché il denaro implica possedimento: “è come se Total, rifiutando il possesso, rifiutasse non solo la borghesia ma anche la società, il mondo, la realtà così com’è intesa da secoli“.

Egli inizia i suoi piccoli furti ai danni del macellaio perché riconosce in lui un avido e immeritato possidente. C’è da riconoscere che anche il macellaio stesso è cosciente del fatto che tutto ciò che possiede non è meritato e questo lo si capisce da una frase che pronuncia e che suona quasi come compassionevole, nei confronti di chi non ha avuto la sua stessa furbizia: “morti di fame che accettano passivamente la loro disgrazia nel rispetto della legge in difesa della proprietà“. Il macellaio è ben cosciente del fatto che a proteggere il suo patrimonio ci sarà sempre la legge, ma allo stesso tempo sa che questa legge crea diseguaglianza sociale.

Total attua i suoi piccoli furti non a caso, bensì si appropria dei simboli del potere borghese del macellaio. Incomincia infatti rubando il coltello: a fare da sfondo a questo primo furto c’è la macelleria, rappresentata come un vero e proprio tribunale, con tanto di scritta

L’uomo è un animale carnivoro

In questo tribunale-macelleria il coltello è assimilabile al martello con cui il giudice decreta le sentenze, esattamente come il macellaio “decreta” i finti prezzi e quindi le condanne ai propri clienti e il proprio immeritato guadagno. Non solo: il macellaio, attraverso il coltello/martello, ha creato il proprio impero che va al di là della macelleria e si estende fino alle costruzioni di palazzi e ad altre varie proprietà. Total colpisce proprio il suo ruolo istituzionale, privando il macellaio del coltello e quindi della propria capacità di mascherarsi da figura sociale: “un feticcio della sua ritualità quotidiana che, nonostante il benessere raggiunto, dipende ancora dall’atto reiterato e “liturgico” di tagliare la carne e pesarla in modo truffaldino imbrogliando il cliente di turno“.

Il secondo oggetto rubato da Total è il cappello, interessante oggetto perché in tutta la pellicola l’unico personaggio ad indossare il cappello è solo il macellaio, quindi anch’esso rientra nella categoria di oggetti del potere. Successivamente viene rubata l’automobile, mentre, come ultimo furto, Total “ruba” Anita, la moglie del macellaio. Lei stessa, nel suo monologo di presentazione al pubblico, si pone come un oggetto e non come un essere umano, come l’unico pezzo di carne viva in mano al macellaio. Total ruba Anita soprattutto perché, quest’ultima; rappresenta il possedimento estremo del macellaio. Quest’ultimo, dopo il rapimento, si preoccupa esclusivamente di controllare che dalla cassa non siano state prese banconote. Affiancati a questi tre personaggi, ci sono altri personaggi “minori” che: “Dialogano continuamente con i tre solisti; hanno anzi la funzione di intervallare il dialogo sui massimi sistemi (la proprietà, la trasgressione, la sessualità) intessuto dai tre strumenti “alti”. Il padre – anale Salvo Randone, che regola il rapporto con il figlio col denaro, il poliziotto guardiano del livore umano, Albertone, artista, esteta della ladroneria, ucciso dalla bassezza e dalla doppiezza umana, animano le quinte del dramma che scorre sul palcoscenico dei “siparietti”.

L’epilogo risulta dei più scontati: il macellaio si reca a casa di Total spiegandogli che l’unico modo per levargli tutto il patrimonio risiede nel fare una rivoluzione proletaria, distruggendo così ogni tipo di istituzione. Petri e Pirro decidono di far uccidere il povero Total per ristabilire l’ordine sociale: la morte del protagonista rappresenta anche la morte dell’ideologia e dell’equità. Evitando il finale onirico, caratteristico delle due precedenti pellicole della trilogia, Pirro e Petri negano anche ogni forma di speranza nel futuro; soprattutto mettono in scena l’impossibilità d’azione sul concetto di proprietà, perché è un concetto insito nell’uomo da secoli; inoltre, oltre a essere tutelata da norme legislative, la proprietà è parte degli istinti umani. Questa sarà la loro ultima pellicola e allo stesso tempo il loro atto più cupo e senza via d’uscita.

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LADRO NEVROTICO:

Ogni uomo costruisce una propria identità sin dall’infanzia con convinzioni, desideri, modelli di comportamento, valori e struttura di personalità propri. L’identità si esprime nella relazione con gli altri e nel modo di raggiungere i propri scopi. Questo in psicologia è chiamato semplicemente “copione”. Nella società messa in scena da Petri ne La proprietà non esiste spazio per i valori né tanto meno per le convinzioni: il ladro Total è il primo e unico personaggio della trilogia a mostrare la propria nevrosi attraverso la psicosomatizzazione, ovvero la “conversione degli stati emotivi in sintomi fisici”. Per Freud i sintomi isterici sono attribuibili alla rimozione di idee o pensieri incompatibili con la sensibilità sociale. Total quindi, resosi conto d’esser incompatibile con la società in cui è immerso, esterna la propria nevrosi attraverso sfoghi e pruriti cutanei. Cute che viene rappresentata come l’unica barriera che possiede il protagonista contro la società. Proprio per questo in banca è solito usare i guanti per proteggersi dalle banconote che, oltre a rappresentare implicitamente il possesso, sono anche agente di corruzione del pensiero umano. Total è un moderno Antoine Roquentin, ma anziché provare la sensazione di nausea alla sola vista degli oggetti, prova un fastidioso prurito alla vista del denaro.
La nevrosi provoca al ragioniere anche una sorta di ballo scomposto: infatti quando si gratta si accompagna con gesti che ricordano una danza. Ma oltre a questa danza visiva, estetica, che noi spettatori possiamo vedere, la nevrosi gliene provoca anche una morale, intima, che possiamo cogliere attraverso due scene, che rappresentano lo sfogo nevrotico.

Gli sfoghi sono due, ed entrambi contribuiscono entrambi al macabro epilogo. Il primo sfogo della nevrosi si manifesta dopo il rapimento della donna-oggetto Anita. Dopo averla sequestrata, Total si rende conto di non poterla possedere come per gli altri oggetti perché impotente, questo fatto crea dentro di sé un conflitto che mina la sua ideologia del “marxismo – mandrakismo”, l’ideologia per la quale ha rinunciato all’avere. Per la prima volta si trova dinnanzi a un oggetto che gli serve, per la sopravvivenza dei propri istinti, ma che non può consumare anche se è stato sequestrato al titolare, il macellaio. La donna-oggetto Anita inizialmente pare lusingata dalle attenzioni di Total, sebbene esse siano sotto forma di sequestro, ma subito dopo lo umilia, perché incapace di possederla, con quella volgarità che contraddistingue il macellaio; ella con Total non si sente né persona né oggetto. Questo primo sfogo, oltre a creare un conflitto interiore, porta Total ad accanirsi di più, seppur in modo diverso dalle altre volte – ovvero in maniera molto infantile – contro il macellaio. Sviluppa anche una sorta d’invidia nei suoi confronti, fino alla patetica scena dove il macellaio si fa derubare senza batter ciglio della penna, dell’accendino e dell’orologio di famiglia, in cambio della tregua. Il secondo e ultimo sfogo, che contribuisce a portare Total verso il baratro del fallimento ideologico, è rappresentato dal discorso di Paco l’Argentino dove vengono osannate le doti artistiche del defunto Albertone. In questo discorso, che ha per protagonisti i ladri, Total non riesce a rivedercisi, si rende conto d’essere un ladro diverso da quelli comuni, poiché con il suo rubare vuole abbattere il sistema legale della proprietà. È lo stesso padre, prima del funerale, a seminare in Total il dubbio d’identità: “Non sei onesto! Non sei un ladro! Ma chi sei?“. Total, nel tragitto che lo porta dal funerale verso casa, si rende conto di non poter ottenere niente attraverso qualche piccolo furto per la propria sopravvivenza. Meglio, si rende conto di non poter sradicare le radici di un sistema  istituzionalizzato e regolato da un complesso apparato legislativo, studiato appositamente per la tutela dei tanti macellai e Rosello del paese [A ciascuno il suo, Elio Petri – 1966]. Ed è forse per questo motivo che il vinto Total, e la sua obsoleta nevrosi, si lasciano andare in ascensore alle possenti mani del materialista contemporaneo, le mani del macellaio che lo privano d’ossigeno per una “legittima” difesa. Total quindi, non è sopraffatto, ma vinto, ideologicamente prima ancora che fisicamente. La sua è una nevrosi che non può nulla contro un sistema che tutela chi lucra legalmente. Essa non è né passiva né attiva come le due precedenti, ma solo ed esclusivamente conseguenza naturale dell’appartenenza a una precisa – e non scelta – classe sociale, dove reddito e proprietà ne determinano la dimensione. Il primo scambio di battute tra il padre e Total è in questo caso esemplificativo del pensiero di Petri:

− Total: “Quanto abbiamo in banca?

− Padre di Total: “Quello che meritiamo

Testi consultati e citati:

Bauman Z., Lavoro, consumismo e nuove povertà, Città aperta edizioni, Troina (2004).

Gambetti G., intervista a Elio Petri, in Cineforum, n. 92 – 93, maggio – agosto 1970.

Gili J., Elio Petri, Cinecittà Holding (2000).

Mondella D. (a cura di), Ultima trovata. Trent’anni di cinema senza Elio Petri, Pendragon, Bologna (2003).

Pestelli L., Quando la ricchezza è una malattia e la miseria una verità dolente, in “La Stampa”, n. 234, ottobre 1973.

Petri E., Pirro U., La proprietà non è più un furto: Romanzo, Bompiani, Milano (1973).

Pirro U., Il cinema della nostra vita, Lindau, Torino (2001).

Pirro U., Per scrivere un film, Lindau, Torino (2001).

Rigola G. (a cura di), Elio Petri, uomo di cinema, Bonanno Editore, Acireale (2015).

Rossi A., Elio Petri, La nuova Italia, Firenze (1979).

Rossi A., Elio Petri e il cinema politico italiano. La piazza carnevalizzata, Mimesis Edizioni, Sesto San Giovanni (2015).

Sartre J. P., La nausea, Einaudi, Torino (2014).

Weber M. (1961), Economia e società, Vol. II, Edizioni di comunità, Milano (1999).

Link Utili:

http://www.eliopetri.net/

LINK AL FILM: https://www.raiplay.it/video/2017/11/La-proprieta-non-e-piu-un-furto-f7957fc4-314b-4246-a815-48d0f1c1872a.html

Volete approfondire la filmografia di Elio Petri?

Vi aiuta Federico Frusciante:

Parte I: https://www.youtube.com/watch?v=t0aBHq2Do-Q

Parte II: https://www.youtube.com/watch?v=60HgQYkMocA&t=1208s

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